Il cervello si modifica di continuo con il crescere dell’età; pertanto a quindici anni la maturazione cerebrale non si è ancora completata.
Il sistema limbico, coinvolto nella memoria, nell’emotività e negli impulsi, si sviluppa precocemente. E’ composto da ippocampo, talamo, ipotalamo, circonvoluzione del cingolo e amigdala.
La corteccia prefrontale e frontale, che sono, invece, le parti connesse alla razionalità, l’apprendimento, alle funzioni sociali e al linguaggio, maturano intorno ai venticinque anni. Il basso controllo di queste regioni in età adolescenziale spiega, in parte, la prevalenza di comportamenti rischiosi, dettati sotto lo stimolo emotivo.
Sempre all’inizio dell’adolescenza si ha la produzione di un intenso numero di sinapsi, definita sinaptogenesi. Ciò comporta a un progressivo aumento della sostanza grigia, che raggiunge un picco di densità, oltre il quale si ha un cosiddetto sfoltimento delle sinapsi (pruning), che avviene in funzione del loro uso e della frequenza con cui s’impiegano, nel rispetto di una logica legata alla regola “use it or loose it” (usalo o perdilo).
La maturazione della materia bianca, responsabile dell’efficienza della conduttività neurale, sembra continuare fino ai trent’anni (Ashtari et al., 2007; Barnea-Goraly et al., 2005; Giedd et al., 1999; Jernigan & Gamst, 2005; Paus et al., 2001; Bava et al., 2010).
Com’è possibile immaginare da queste premesse, l’uso di droghe in giovane età determina modificazioni notevoli del normale sviluppo cerebrale, sia sulla sostanza grigia sia sulla sostanza bianca, essendo il cervello in corso di sviluppo più vulnerabile agli effetti neurotossici.
Sono stati eseguiti diversi studi scientifici di neuro immagine a riguardo, che hanno dimostrato come il consumo di cannabis in adolescenza provoca anomalie strutturali della materia grigia e della materia bianca nelle aree cerebrali associate alla velocità psicomotoria, al controllo emotivo, all’apprendimento e memoria (Arnone D et al., 2008; Ashtari M et al., 2009).
Medina e colleghi (Medina KL et al., 2007) hanno rilevato come un aumento dei sintomi depressivi nei consumatori di cannabis fosse associato a un ridotto volume della materia bianca presente in questi adolescenti. A favore di questa teoria esistono altri studi scientifici, che suggeriscono come l’uso cronico di cannabis aumenta il rischio di sviluppare sintomi depressivi, ansiosi e maniacali, depressione maggiore e disturbo bipolare, specie per i consumatori abituali che iniziano a fare uso di cannabis prima dei quindici anni (Hayatbakhsh et al 2007, Henquet et al. 2006, van Laar et al 2007).
Gruppi di soggetti consumatori cronici di marijuana sono stati sottoposti a scansioni PET durante l’esecuzione di compiti che implicavano delle scelte decisionali. I risultati hanno evidenziato che tali individui presentavano delle turbe nella capacità di decisione cognitiva; in particolare si è notato che era richiesto un maggiore sforzo cerebrale per ottenere il risultato richiesto (Silveri M. et al., 2011).
Negli adolescenti, infine, l’uso di cannabis può favorire l’insorgenza di disturbi psicotici. Ciò sembra dipendere dal fatto che il principio attivo della cannabis si leghi ai recettori cannabinoidi di tipo 1 (CB1) presenti nel cervelletto, deputato al controllo di alcune funzioni come il linguaggio, il movimento e alcune emozioni come il piacere e la paura. In tal modo il THC (Delta-9-Tetraidrocannabinolo), sostituendosi agli endocannabinoidi, molecole endogene prodotte dal nostro organismo, va a interferire con i processi in cui questi ultimi sono coinvolti, favorendo una patologia cerebellare con un quadro clinico simile alla schizofrenia. Uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista medica Jama Psychiatry e un rapporto della National Academy of Sciences del 2017, affermano che oramai esistono dati a sufficienza per concludere che l’associazione tra consumo di cannabis e lo sviluppo di quadri schizofrenici o psicotici di altro genere è solida, specie per chi fuma skunk, una nuova varietà che contiene un tasso di THC pari al 15-18%. In questo caso il rischio è tre volte più alto rispetto ai consumatori di cannabis classica e se l’uso è quotidiano il rischio si quintuplica.
Oltre al cervelletto, le regioni cerebrali più densamente popolate dai recettori cannabinoidi sono:
- L’ippocampo
- La corteccia cerebrale
- Il nucleo accumbens
- I nuclei della base
- L’ipotalamo
- L’amigdala
- Il nucleo del tratto solitario
- Il tronco cerebrale
Il THC agendo su queste aree e interferendo con l’attività di neurotrasmettitori (ossia le sostanze liberate dai neuroni a livello sinaptico e che compiono la propria funzione su un neurone o un organo effettore), come la noradrenalina, la serotonina, l’acetilcolina e la dopamina, provoca i seguenti effetti acuti:
- Elevato benessere per un aumento del rilascio della dopamina, responsabile dell’innesco del processo di gratificazione che sta alla base della dipendenza.
- Aumento del tono dell’umore
- Euforia e loquacità
- Sedazione
- Disturbi delle capacita cognitive ed in particolare alterazione della memoria a breve termine, del senso critico e della capacità decisionale
- Alterazione delle capacità percettive sensoriali che si delinea soprattutto in un aumento della sensibilità verso gli stimoli esterni e un’alterazione della percezione temporale
- Disturbi motori, soprattutto alterazione della coordinazione dei movimenti e aumento del tempo di reazione a uno stimolo
- Occasionalmente stati d’ansia e attacchi di panico
- Aumento dell’appetito
- Secchezza delle fauci
Bibliografia
- http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=55061
- http://www.politicheantidroga.gov.it/media/1661/212_cannabis_adolescenti.pdf
- http://iport.dronetplus.eu/com/filedownloadlink/allegatoQ.php?key=3443
- https://issuu.com/dipartimentodipendenzeverona/docs/neuroimaging